Cronostoria di un viaggio “on the wild” con Avventure nel Mondo (https://www.viaggiavventurenelmondo.it/)
Era da un po’ che non buttavo giù qualcosa di scritto, anche se nel cassetto ho ancora parecchi appunti degli ultimi viaggi da mettere in bella copia… Ma questo, è stato un viaggio talmente intenso che devo metterlo subito nero su bianco, perché non voglio dimenticare nemmeno un dettaglio!
Estate 2023 – Comincio a credere che questa estate sia davvero l’apice di un periodo di transizione in cui mi ero tuffato. Avevo sicuramente i fatti miei a cui badare, e stavamo tutti ancora uscendo dall’esperienza del Covid, che ci ha stravolto le vite.
In ogni caso, a Gennaio dello scorso anno mi ero già promesso un cambiamento; mi piaceva l’idea romantica della foglia, che si lascia trasportare dal vento, assaporando e accettando quello che viene. Da quel momento, e proprio da quell’idea è stato un susseguirsi di esperienze. Subito è arrivato un nuovo lavoro a stimolare spirito e testa, imprigionati nella mia zona di comfort da troppo tempo. Un altro forte impulso arrivava da un bellissimo e inaspettato viaggio in solitaria in Messico (che vi racconterò appena possibile).
Da allora, parecchie cose sono cambiate, e non parlo di cose tangibili, ma del modo di vedere le cose, di sentirle e di adeguarmi a quello che mi capita.
La premessa era d’obbligo, ma non vi tedierò oltre. Andiamo perciò al nostro viaggio: un bellissimo giro di più di due settimane su e giù per il Costarica, accompagnato da uno splendido gruppo di nuovi amici viaggiatori.
La formula è quella di Avventure nel mondo, che ho già avuto modo di apprezzare in altri precedenti viaggi in giro per il mondo, ogni volta insieme a bellissimi nuovi amici.
Il Costarica era il viaggio che avevo puntato (oltre al Madagascar che però non combaciava con le mie ferie).
Solo grazie ad un colpo di fortuna sono riuscito a prenotare, e solo perché un altro partecipante aveva appena rinunciato lasciando vacante quel preziosissimo posto. Non me lo sono lasciato scappare. Giusto il tempo di chiamare Alessandra – la nostra super coord – per qualche info di routine, e subito ho fermato il viaggio, non appena chiusa la telefonata.
Eravamo 12 persone, il gruppo nuovamente al completo, e io ero su quel volo!
5 Ago – si parte per San José
Capita che arrivi in aeroporto, e al desk della compagnia aerea incontri subito Sara, la prima compagna di viaggio che ti saluta con il suo sorriso, lo stesso sorriso che porterà stampato sul viso per tutto il viaggio. Qualcuno poi ha cercato Sara continuamente per tutto il viaggio – “Dov’è Sara?” (Oh, io però l’ho trovata subito eh!?) Subito ci raggiungono anche gli altri ragazzi che partono da Roma: erano Sandra, Massimo e Giorgia, e la Silvia, che non trovando posto con gli altri provenienti da Milano, è dovuta scendere fino a Roma. Siamo tutti eccitati a mille: il programma di viaggio è ambizioso, e le tappe da raggiungere numerose. Prendiamo contatti con gli altri ragazzi che intanto partono da Milano, non senza sorprese, dato che il loro volo è già in estremo ritardo. Partenza col botto. Le valigie di Alessandra, quelle di Fabio, Katia, Pamela, di Paola, e quelle di Roberto risultano perse in un limbo, parcheggiate forse da qualche parte a Francoforte perché non erano state imbarcate in tempo sul nostro volo. È lì che ti rendi conto di avere a che fare con gente tosta! Nessuna lamentela, ma solo tanta voglia di partire, facendo passare in secondo piano il problema bagagli.
Finalmente, tra soste in aeroporto e voli, ti ritrovi dopo una quindicina di ore dall’altra parte del mondo, davanti all’ingresso di quella che sarà la tua base per la prima notte di viaggio. Siamo ad un fuso orario di 8 ore in meno rispetto a casa nostra, e questo è l’hotel Pacandé – Alajuela – una tranquilla cittadina ai bordi di San José. Alajuela è la cittadina di Walter, il nostro preziosissimo autista. Lui è un po’ come il Signor Wolf di Pulp Fiction, quello che risolve i problemi. È anche lui, che insieme ad Alessandra risolverà colpo dopo colpo tutte le difficoltà che ci si presenteranno davanti.
Facciamo subito i conti con gli orari locali del Costarica, stupiti delle chiusure così in anticipo rispetto a quelle a cui siamo abituati in Italia. Saranno le sei del pomeriggio, e trovare una “soda” (il tipico ristorantino low budget) è già un’impresa. Tutto è serrato, e dopo qualche giro dell’isolato riusciamo a trovare solo un Messicano che fa cibo da asporto. Affamati, non ci dilunghiamo oltre e finiamo per mangiare in hotel il cibo recuperato faticosamente.
6 Ago – coffee tour, cascate e poi dritti fino al Tortughero!
È l’alba, io e Roberto siamo già operativi e attendiamo per la colazione. La giornata comincia con il tour di una piantagione di caffè. Fichissimo il posto. Tutti gli impianti di lavorazione fanno capo ad un mulino ad acqua, che grazie ad un sistema di trasmissione a cinghie e ruote dentate permette di effettuare tutto il processo post raccoglitura senza consumare nemmeno un watt di corrente elettrica.. La guida spiega in modo minuzioso, facendo capire in modo semplice, tutti i passaggi, dalla raccolta e relativi costi (gli operai vengono pagati a “ceste” e relativi multipli), fino allo smistamento delle varie qualità, alla miscelazione e tostatura finale.
Facciamo subito conoscenza con le farfalle del posto, del genere Morpho. Le avrete viste sicuramente nei documentari in tv. Sono probabilmente le farfalle con l’apertura alare maggiore. Il lato dorsale delle loro ali è di un incredibile blu metallizzato: un capolavoro naturale che difficilmente rimane inosservato.
Non abbiamo neanche il tempo di finire il giro, che Walter è già al bus ad attenderci. Guida un pulmino color crema, con su scritto una roba tipo “trasporto studenti”. A noi la cosa faceva ridere, ci faceva quasi tornare indietro di vent’anni, in una improbabile gita scolastica.
Già nel primo pomeriggio siamo sulla strada per il parco Nazionale del Tortughero. Dopo una breve sosta ad una piccola cascata lungo il percorso, troviamo l’oceano atlantico ad aspettarci, insieme al tempo minaccioso di pioggia torrenziale. Non la temperatura però; quella è un misto di vento caldo e umidità, simile alle porte per l’inferno, che ti incolla i vestiti addosso, e ti lancia sabbia in faccia, facendoti sudare anche solo battendo le ciglia. Era una sorta di circolo vizioso: camminavi e sudavi, ti avvicinavi alla spiaggia e il calore dell’acqua ti scottava fin su al cervello, starnutivi e sudavi. Quei 36-38 gradi, erano almeno una cinquantina percepiti. Era così fino alla sera, quando finalmente la temperatura rimaneva la stessa, ma ti pioveva in faccia per dieci minuti buoni inzuppandoti come un ciuffo di menta in un gin tonic. E no, ripensandoci non è che migliorava mica tanto in effetti…
Siamo nella costa nord est del Costarica. È già notte, e solo in questo momento possiamo andare ad osservare la deposizione delle uova delle tartarughe marine. La guida assoldata per l’occasione era super professionale, con un bel completo da Indiana Jones con tanto di binocolo al collo, e stivali adatti per una passeggiata in Piazza san Marco a Venezia quando c’è alta marea.
Siamo pronti, e dopo una breve camminata ai bordi della spiaggia alla luce delle fioche luci frontali, la guida ci propone un briefing per spiegarci cosa vedremo, e come ci dovremo disporre per non disturbare gli animali. Ci dice che “no”, non dobbiamo trovarci sul percorso delle tartarughe quando arrivano in spiaggia a deporre le uova, pena, la tartaruga che fa dietro front e se ne torna in mare. Nessuna luce, nessuna foto, tassativo.
Le tartarughe ci camminavano di fianco senza che noi nemmeno le vedessimo. La serata offriva un buio quasi completo, e la luna nascosta si prendeva gioco di noi, facendoci vagare per la spiaggia a decine, sbattendo tra noi come un gruppo di ciechi col bastone in un piazzale. Scherzi a parte. Le tartarughe sono tra noi, e la guida ci dice che l’unico momento per avvicinarci è quando cominciano a deporre le uova nella profonda buca che hanno scavato. Ecco, in quel momento, le tartarughe “dovrebbero” essere in stato di trance (ma più probabilmente ormai semplicemente indifese ed impossibilitate a muoversi fino a che non finiscono la lunga deposizione).
Eppure lo spettacolo è davvero affascinante. Siamo lì intorno alla tartaruga, cercando di respirare piano per non disturbarla. Siamo lì senza parlare, comunicando soltanto con gli sguardi, muovendoci il meno possibile per non spezzare quel momento così raro e che non avevamo mai avuto la fortuna di vedere prima. La penombra impedisce una visione nitida, ma riusciamo a scorgere un mucchio davvero grande di uova, forse cinquanta, forse cento, finché la testuggine non comincia a riempire la buca di sabbia a protezione dei preziosi gusci. Noi ci allontaniamo prima che finisca, quasi in una sorta di leggero imbarazzo per aver spiato una tartaruga intenta nei sui affari privati. Ci infiliamo nuovamente nella jungla da cui venivamo, mentre il fragore delle onde si attutisce in lontananza.
Un’esperienza unica davanti ad un animale che non sappiamo quanto abbia nuotato per raggiungere quel luogo e poggiare lì quelle uova. Solo una piccola parte di esse sarà fortunata a sopravvivere agli attacchi di animali notturni dal fiuto sopraffino e uccelli, pronti a scavare nella sabbia per trovarle. Ancora meno, saranno le piccole tartarughe che dopo aver raggiunto l’acqua per istinto, sopravviveranno ad altrettanti attacchi di pesci e predatori.
Una tartaruga, deve fare i conti con un sacco di problemi, ancora prima di nascere. Ci vuole fortuna anche ad essere tartaruga in effetti…
7 Ago – Giro wild in canoa nel parco nazionale
C’è voluto un po’ ieri, per arrivare fin qui. La mappa sul telefono non indicava alcuna strada fino al fiume dove avremmo trovato la nostra barca per il Tortughero. Avrei avuto più di qualche difficoltà a guidare io fin qua, se non fosse stato per Walter che conosce quasi a memoria quei vicoli sterrati. Alle fine della strada non era affatto finita; da lì eravamo saliti in una piccola barca, grande appena per farci stare tutti seduti.
L’imbarcadero si chiama “La Pavona” e giusto per darvi un’idea, è esattamente qui:
Da questo punto ci sposteremo ad est verso la costa, percorrendo le anse del fiume in barca, più o meno per due ore, avvolti dalla natura, sempre più selvaggia ad ogni metro percorso.
Anche noi fortunati con la valigia avevamo lasciato tutto a Walter. Si viaggia leggeri, portando con noi soltanto l’occorrente minimo per rimanere fuori un paio di giorni.
La nottata con le tartarughe era stata una esperienza grandiosa, ma girare in kajak per la grande laguna era qualcosa di altrettanto inaspettato. L’ambiente che ci si presentava davanti era davvero come quello dei documentari, con una natura rigogliosa fatta di piante altissime, liane e rampicanti che le scimmie e uccelli usavano come strade per muoversi in quella jungla fitta. La natura vinceva alla grande, e lungo le rive della laguna tutti gli spazi erano occupati. Non c’era la riva del fiume, e le piante arrivavano fin l’orlo dell’acqua, anzi, fin dentro l’acqua.
Il posto è ad una manciata di chilometri dal Nicaragua: forse dieci, forse venti. Probabilmente stavamo già osservando le colline oltre il confine.
Il tempo era già minaccioso dal primo mattino, ma non importava, eravamo già ipnotizzati da quello spettacolo selvaggio. Ci sentivamo come si sente un esploratore alle prime armi, sulla nostra barca a remi, alla ricerca di animali nuovi e rumori di animali a cui le nostre orecchie non erano abituate. Scrutavo le espressioni dei miei nuovissimi compagni di viaggio, per immaginare le loro impressioni. Eravamo in un posto davvero lontano dal mondo per come lo conosciamo noi occidentali, ed ero curioso di captare eventuali loro “incertezze”, ma nulla! Il posto in cui ci trovavamo non lasciava spazio per il minimo disagio. Eravamo tutti troppo immersi e curiosi di questo nuovo ambiente in cui eravamo immersi.
D’un tratto il nostro “comandante” (quello che girava il timone della barchetta) ci infila di prua in un anfratto dove non avremmo nemmeno mai pensato potesse esserci un passaggio. Ci troviamo nuovamente in una nuova cornice, un ambiente ancora più difficile e scuro, dove la luce faceva fatica ad entrare. Le mangrovie lasciavano un passaggio per la barca di poco più di due metri, con liane e rami che incrociavamo ad altezza uomo. Incrociavamo le Felci ed erano morbide, e subito dopo venivamo punti dalle foglie delle palme o dei banani, taglienti nei bordi. Il contrasto era qualcosa a cui non eravamo proprio abituati. Nuovamente fuori dalle mangrovie, stormi di pappagalli volavano alti a coppie. Dei rapaci rimanevano invece nei rami bassi delle piante, sul bordo del fiume, pronti a vedere la minima increspatura dell’acqua per cacciare la loro preda. In una zona paludosa, delle piante acquatiche creavano una sorta di tappeto verde sulla superfice dell’acqua, e degli strani uccelli gialli dal becco aguzzo riuscivano a camminarci sopra sfruttando il loro peso esiguo. Un coccodrillo di pochi centimetri era lì vicino alla nostra barca, a farsi i fatti suoi, mentre io ero lì che infilavo la mia insta360 nell’acqua per vedere se riuscivo a riprenderlo nel suo ambiente naturale. Eppure il tannino di tutte quelle piante presenti rendeva l’acqua scura come il the, impedendo una visione nitida sotto la superficie. Non importava. Gli occhi erano già talmente stimolati che non credo avremo bisogno di un video da rivedere. Quelle immagini ce le terremo davvero a lungo nella nostra testa. Rimarrà ben fisso nei ricordi la pioggia che scendeva copiosa mentre remavamo verso il villaggio. Rimarranno quei fischi degli uccelli, delle scimmie urlatrici, delle Mono Ragno, dei pappagalli che abbiamo incontrato, così come rimarranno i boati dei fulmini che minacciavano in lontananza, e i rumori delle barche a motore nella parte navigabile del fiume.
Direzione per la Cahuica
È il pomeriggio del 7, e stiamo rientrando al fiume, dove Walter ci aveva lasciati ieri. Ci sta già aspettando con un tempismo da orologio svizzero per portarci in un altro parco naturale, circa a 200km a sud est, questa volta al confine con Panama. Saranno circa 4 ore di viaggio, scendendo per la statale 22 fino a Limon e proseguendo ancora per una ventina di chilometri a sud.
Arriveremo nel pomeriggio, e già da qui ci rendiamo conto che i tempi saranno serratissimi e stancanti per tutto il viaggio, non per colpa di qualcuno, ma semplicemente a causa del sole che alle 18 del pomeriggio è già andato via da un pezzo, senza darti la possibilità di fermarti a respirare. Qui la vita è più corta rispetto ai nostri tempi occidentali. La sera i locali chiudono in orari quasi ridicoli. Alle 19 di sera è già difficile trovare qualcosa aperto per mangiare. Se siete appassionati di locali notturni, beh, dimenticateli. Ci sono più tapiri in giro che locali aperti. Arriviamo in una bellissima villetta a due piani, a poche centinaia di metri dal mare, subito con Roberto siamo fuori in ricognizione per una birra e alla ricerca di un locale dove cenare. Posto carino, particolare sicuramente. Ristoranti e musica in pieno stile jamaicano (non ritroveremo così spesso quest’atmosfera in tutti gli altri posti visitati). Ad ogni modo siamo in bassa stagione, e il quartiere centrale è pressoché deserto, peccato. Lo immagino molto più popolato e curato nei mesi di Dicembre e Gennaio – in alta stagione).
Abbiamo appena il tempo di cenare, e sfiniti, una parte di noi ne ne vanno a letto. Un’altra parte del gruppo (gli irriducibili) sfruttano all’osso la serata per un’escursione notturna, dove beccheranno le bellissime rane verdi tipiche del Costarica e la bellissima vipera gialla cigliata (Bothriechis schlegelii).
Noi ci “accontentiamo” invece di vedere un bellissimo bradipetto sornione, riposarsi su un alberello con vista mare.
8 Ago – escursione lungomare e nel pomeriggio direzione Arenal passando per la “Cascata La Fortuna”
La sveglia è impietosa, ma io e Roberto siamo ancora più mattinieri di lei. Alle 5 di mattina eravamo già in spiaggia per dare un’occhiata all’alba. Dopo un giro veloce rientriamo e ripartiamo insieme agli altri per l’escursione al parco, che sviluppa un bel percorso proprio a pochi metri dietro il bagnasciuga del mare. Iguane, ovunque, e ogni tanto si affacciava dalle foglie dei banani qualche ragno (i ragni sono sempre di troppo per me). Faccio in tempo a vedere una bellissima rana dardo azzurra e nera (ovviamente velenosa) per poi vederla scomparire in un attimo sotto un ciuffo di foglie. Di quest’incontro rimarrà soltanto un breve video di pochi fotogrammi, per di più di pessima qualità. vorrà dire che dovrò ricordarmela a lungo con la memoria.
La pioggia ci interrompe, e siamo costretti a rientrare alla base.
Walter, in tutto il suo british style, ci accoglie nuovamente nel suo confortevole bus per rifare la strada all’indietro, stavolta diretti però verso il vulcano Arenal. Saranno almeno 4 ore di bus, e comunque, per nostra fortuna la Costarica è un paese piccolissimo, facile da percorrere in lungo e in largo.
Siamo di strada, e dopo una breve votazione decidiamo di fermarci alla cascata. La sosta dovrebbe farci guadagnare tempo per una cena più calma e un po’ di relax tanto desiderato. D’altra parte stiamo viaggiando con ritmi davvero sostenuti e come nomadi, cambiando strutture ogni giorno. Beh, la cascata si rivela un piccolo capolavoro naturale. Dopo la discesa per lunga scalinata mi accorgo che si, c’era gente che faceva il bagno. Non che me lo facessi dire o ripetere, c’era giusto il tempo di un bagno veloce. Quando mi ricapita? Rimango in mutande senza nemmeno troppi convenevoli e mi butto nell’acqua ghiacciata. In una mano lo stick della videocamera, e sul fondale le rocce mi impedivano di usare anche le gambe per tenermi a galla. Respiravo a fatica per l’acqua davvero fredda che mi tirava verso il basso, cercando di tenermi a galla come potevo, usando un solo braccio. Bagnetto faticoso in effetti… ma ne valeva la pena, mille volte!
Stasera siamo a La Fortuna, nel nord del paese. L’hotel Xilopalo è una figata! Siamo tutti estasiati dalla location. Al nostro arrivo si presenta completamente affacciato sulla natura, e davanti, il cono rovesciato del vulcano ha forma talmente regolare che sembra disegnato sullo sfondo! Pochi minuti, giusto il tempo di una foto, che tutto viene avvolto dalle nuvole. Saliamo tutti sul porticato, a goderci il panorama verdissimo e a guardare gli animali che vengono a sgranocchiare gli scarti di cibo che gli albergatori gli piazzano sugli alberi per farceli vedere meglio.
Lì vediamo il picchio rosso, così come una specie di avvoltoi davvero grandi. Poi si presentano senza troppa timidezza degli uccelletti neri, simili ai nostri merli, ma con una macchia rosso acceso sul più maggio del dorso. Il colore è talmente intenso che è fenomenale. Di tanto in tanto compare anche qualche colibrì che già avevo avuto la fortuna di vedere qualche giorno prima.
La vacanza è un autentico viaggio nella natura incontaminata a cui noi occidentali non siamo abituati. E noi non siamo da meno. Rimangono pochi vestiti a disposizione, mentre i bagagli ci corrono dietro ma non ci trovano. Lufthansa non ci dà notizie certe, nella ormai mesta disperazione di chi non aveva più nemmeno un cambio nello zainetto.
La sera siamo alle terme, che ci salvano la vita. Al secondo cocktail siamo tutti più rilassati a goderci la serata e a raccontarci dei giorni precedenti. Sandra sfoggia la sua fantastica cuffia arancione, che mi permette di non perdere di vista il gruppo. I sorrisi di tutti sono distesi. Perdiamo di vista Giorgia e Sara, che nel frattempo di erano nascoste nella fantastica vasca idromassaggio qualche centinaio di metri più in là.
9 Ago – Trek Arenal e Rio Celeste
Questa mattina stiamo camminando sulla pietra lavica di una recente eruzione, chiaramente sotto il sole cocente e alla mercé di assetate zanzare che non danno pace. Il percorso è carino, non difficile, se non fosse che Fabio è uno dei sfortunati rimasti senza bagaglio, e l’espressione di dolore sulla sua faccia indica che le sue Converse bianche non offrivano il miglior supporto per quella camminata impegnativa.
Il Rio Celeste è nel Tenorio, ed è una delle rivelazioni del viaggio. Costeggiando il fiume dal colore azzurro intensissimo siamo completamente immersi nella natura. La Ale ci aveva anche studiato su: il blu del fiume sembra essere dovuto a un fenomeno ottico causato dall’alluminio, dall’ossigeno e dal silicio, che ricoprendo le rocce crea questo particolare riflesso blu. Nulla a che vedere con la leggenda che invece dà una spiegazione molto più semplice: pare che Dio avesse lavato i suoi pennelli in questo fiume dopo aver dipinto il cielo di blu.
Scompaiono delle persone, ne riappaiono altre sotto forma di Massimo, che si rivela duro come la roccia. Nonostante il caldo e la fatica non si fa sfuggire l’intero percorso. Anche Katia, a distanza di qualche minuto la ritroviamo lungo il percorso, dimostrando una grandissima resistenza. con Fabio e Sara intanto stavamo correndo in avanti perché a quanto pare sembrava fossimo gli ultimi. In pratica abbiamo fatto una corsa fino alla fine del percorso senza vedere nessuno. E lì il dubbio che non fossimo effettivamente gli ultimi della fila ci è venuto.
Non ricordo molto di quella sera, ero stanco, provatissimo più dallo stress dei continui spostamenti, che dalla stanchezza fisica vera.
10 Ago – Monteverde.
Ora ricordo. La sera precedente( il 9 sera) siamo arrivati con un lungo viaggio a Sant’Elena/Monteverde, proprio sul cucuzzolo della montagna, a 1200 mt di altitudine. La strada era tortuosa, ma ci affacciavamo continuamente su dei bellissimi scorci e landscape. Adottiamo temporaneamente Walter, che per l’occasione dorme con me e Roberto nell’appartamento.
Il mattino è la volta del parco con le zip line, dei ponti sospesi e dei Bradipi. Il timelimit era per le 14, probabilmente impossibile da rispettare. A posteriori il parco, anche se prettamente ludico (in fondo è un parco avventure) merita tantissimo. Alcune delle zip line sono lunghe più di 800 mt e passano a pochi metri sopra la foresta, regalando una bellissima visuale. Ponti sospesi da fare soltanto se non te la senti di fare la zip.
Anyway, l’ultima attrazione delle zip era la liana di Tarzan, (no, non saprei spiegarvi come era fatta; più o meno ti legavano da un lato e poi ti spingevano nel vuoto facendoti dondolare decine di volte). Lì, ritrovo Sara che stava per essere spinta nel vuoto dal tipo dello staff che già se la rideva. Io arrivo poco dopo, giocandomi entrambi gli attributi schiacciati dalla maledetta imbracatura. Roberto, per ultimo, si lancia nel vuoto affogando un grido di terrore degno di un film hitchcockiano.
Dato il poco tempo a disposizione la corsetta per i ponti sospesi è stata poco apprezzata. Ma comunque le zip avevano rilasciato abbastanza adrenalina in corpo, ed erano sufficienti. Prima di ripartire, facciamo giusto in tempo a vedere i bradipi, beatamente a riposo nella tendostruttura e al sicuro da altri pericoli esterni. Il loro pelo la loro simpatia dovrebbero essere utilizzati per la pubblicità di qualche shampoo.
Ora stiamo correndo. Walter ci ha raccattati con lo scopettone e ci ha fatti salire sul bus. Siamo al nostro primo traghetto, che raggiungiamo in perfetto orario al porto di Puntarenas. Da qui, impiegheremo circa un’ora per traversare la baia di Nicoya e raggiungere l’altra sponda. Siamo diretti al nostro punto più ad ovest che vedremo in Costarica, direttamente affacciati sull’oceano Pacifico.
È la volta di Montefuma – volevo dire Montezuma – dove siamo però arrivati con quelche minuto di ritardo sul tramonto. Ad ogni modo, la località è un posto che ha un’aria “Decadence” Hippie, anche se dà l’impressione che in alta stagione sia uno dei posti migliori per il surf. Le zanzare ci accolgono bene e ci danno subito un benvenuto caloroso. Sono talmente accoglienti e così fastidiose da pungerci non curanti dei nostri schiaffi all’aria.
Tentiamo un accenno di uscita. In lontananza, nella piazzetta della cittadina vediamo gente. Dopo la solita doccia velocissima, siamo già in strada, ma ci rendiamo conto che eravamo stati presi in giro dalla nostra voglia di uscire. La serata inizia in sordina anche questa sera, per i locali già chiusi, e per le poche persone rimaste in piazza, per lo più moleste, anche a causa di qualche bicchiere di troppo.
Ripieghiamo verso la spiaggia; è comunque una bella serata, e insieme a Roberto e Giorgia stappiamo tre birre guardando le stelle. È uno dei rari momenti in cui il cielo è completamente sereno. Questo ci basta.
11 ago – Delfini, balene bioluminescenza
Qui farò sicuramente confusione perché è stata una giornata talmente piena di accadimenti che devo ancora sistemare l’ordine cronologico delle cose nella mia testa.
Il mattino una provvidenziale Alessandra e Mr Wolf risolvono quello che potrebbe essere un problema catastrofico, a causa dei continui ripensamenti e cambi di condizioni del tour operator della barca. Quasi al punto di mollare, ma pe un qualche mezzo miracolo finalmente li vediamo chiamarci e indicarci la barca ferma in spiaggia. Si va all’Isla Tortuga! Ci avevano detto che avremmo avuto l’occasione di avvistare balene, ma chi ci avrebbe mai creduto di vederne una. E poi ce le troviamo davanti, nuotare placidamente all’interno delle Bahia Ballena. Son lì davanti, a qualche centinaio di metri. Il Capitano spegne i motori per non disturbarle. Rimaniamo lì, ad ammirare il loro dorso scivolare di poco sulla superficie dell’acqua per riprendere fiato di tanto in tanto. Torneremo in quella baia più tardi. Ora siamo diretti all’Isla Tortuga. Sosta pranzo e relax, per grande gioia di Katia, che riporterà a casa una foto poster con tutti i locals dell’isola, tutti baldi giovani e sorridenti.
Le sorprese devono ancora iniziare però. Siamo di rientro nuovamente alla grande baia, verso la playa de los vivos per un’altra sosta. È qui che arrivano i delfini ad accompagnarci lungo il tragitto. Nuotano per più di qualche chilometro davanti alla nostra barca scortandoci e saltando fuori dall’acqua di tanto in tanto. Lo spettacolo è davvero unico.
Dopo nemmeno un’ora di navigazione siamo alla spiaggia, e da buoni scappati di casa scendiamo dalla barca con l’acqua fin sopra il costume. Non prima però di prendere un “sanissimo” panino all’olio che il Capitano della barca aveva preparato per noi. Ripensandoci ora, il peso specifico di quei panini aveva rischiato di affondare la barca, ma ormai era questione di sopravvivenza. Presi per la fame, stavamo comunque scortando quel sacchetto unto a braccia alzate fino alla spiaggia, cercando di non bagnare il cibo.
Playa de los vivos, è una lingua di sabbia di qualche chilometro, delimitata ai bordi da scure rocce vulcaniche che affioravano dall’acqua. È lì che abbiamo notato dei molluschi dall’aspetto preistorico attaccati alla roccia. Ci ho messo un po’ a ritrovarli, ma ho scoperto che sono del genere Polyplacophora. Simili alle patelle marine si attaccano a ventosa sugli scogli, cibandosi di alghe marine. Il guscio ricorda la struttura di un armadillo in miniatura, che piegandosi tra le varie sezioni permette al mollusco di adattarsi perfettamente alla roccia.
Sono i paguri però a dominare la spiaggia. Migliaia e migliaia di questi molluschi corrono avanti e indietro tra i tronchi caduti noci di cocco e palme, intenti a far cosa chissà. Qualche briciola del panino cade facendoli impazzire e litigare per aggiudicarsi il premio. Eppure, basta un passo verso di loro che subito si ritirano nel loro guscio fingendosi morti. È da queste parti che sfoggio la mia fedele insta360 dicendo ai ragazzi di fare un video dove facciamo girare la fotocamera intorno a noi. Il risultato bislacco, ma simpaticissimo!
La giornata è una escalation di sorprese. Saliti in basca per rientrare alla baia ci affianca un banco di delfini. Inizialmente tre o quattro. Poi sono forse una decina. Alcuni di loro precedono la nostra barca; sono velocissimi e sfruttano la pressione che la prua genera sull’acqua per avanzare senza far troppa fatica! Non avevo mai visti i delfini nel loro ambiente naturale. Mai avrei nemmeno pensato di vederne così tanti tutti insieme.
La giornata non era ancora finita. Stiamo navigando con il tramonto alle spalle, in una cornice davvero emozionante. Aspettiamo che cali il sole all’orizzonte, lasciando spazio all’oscurità. Stiamo aspettando che sia abbastanza buio per osservare un altro di quei fenomeni che mai avrei pensato di vivere in una vita intera.
La bioluminescenza si presenta soltanto in una manciata di posti sparsi per tutto il mondo, e guardacaso, anche in queste baie del Costarica. Non è sicuramente tra le più luminose, ma il sole è ormai dietro l’angolo, e il capitano, prende ancora qualche minuto di tempo prima di indicarci l’acqua.
È ancora tardo pomeriggio, ma ormai sappiamo che qui il sole va via prestissimo. È già sotto l’orizzonte, e anche il tramonto è agli sgoccioli. Pian piano l’atmosfera si sta incupendo, e ci tuffiamo quando già si vedono le prime stelle. Siamo qualche centinaio di metri a largo della costa. I motori della barca sono spenti, il mare accenna qualche increspatura, ed è completamente scuro. Metto la testa sott’acqua. Il buio è quasi completo, e riesco a malapena a vedermi fino alle ginocchia. È al muovere energicamente le braccia e i piedi che compare la magia. Basta una bracciata sott’acqua, che il plancton esplode in un fuoco di scintille completamente bianche lasciandomi senza fiato. Dalla barca il fenomeno è appena percettibile, ma in acqua cambia tutto. La tensione di nuotare così al largo e di non vedere a un palmo sparisce ad ogni bracciata di scintille. Tra me e me spero che le balene non si accorgano troppo di tutto quel plancton che stiamo smuovendo, ma tutto sommato in un attimo quell’ansia scompare assorbita dall’esperienza così unica. In acqua c’è anche Roberto Giorgia e Sara, anzi, loro sono lì già da un po’ e anche se per il buio non riesco a vedere bene i loro volti, lo stupore è percettibilissimo.
Si risale a bordo stanchi, ma siamo al termine di una giornata che raramente si vive, a volte in una vita intera. Quante persone hanno la fortuna di camminare in una spiaggia incontaminata, incontrare balene e delfini, e possono nuotare in un mare di scintille nello stesso giorno? È in questi momenti che ti ricordi di essere fortunato, e ti tieni stretto quel momento, mentre punti gli occhi verso un punto fisso in lontananza, ascoltando il motore della barca che ti riporta verso la terra ferma.
Il giro di boa del viaggi è già passato da un pezzo, il gruppo è tornato a ricompattarsi e stiamo andando verso il parco del Curu. Rimarremo a poco più di un’ora di distanza di barca da questa baia. Il mix di Adrenalina e ossitocina fa ancora scintille nelle vene. Penso che stanotte non si dormirà. C’è Walter ad aspettarci alla terra ferma, per l’ultimo tratto di strada. Abbiamo cinque bungalow tutti per noi, in uno dei parchi privati più incontaminati del Costarica. Walter si raccomanda di non uscire da soli nel parco, gli animali selvatici sono parecchi.
Abbiamo le torce, e insieme a Roberto passiamo a recuperare le altre ragazze per un giro col buio. I rumori per la foresta son talmente fitti e forti che quelli più silenziosi siamo noi. Nel tragitto incrociamo per la prima volta un armadillo, forse intento a cacciare. Se ne va dopo un po’, senza nemmeno curarsi troppo della nostra presenza.
Nel buio vedevamo un’infinità di riflessi brillanti tra le piante. Erano nella foresta, brillanti come un mare di stelle in cielo. Se non fosse che la peggiore delle mie fobie si era appena materializzata. Tutti quei brillanto non erano altro che gli occhi di un’infinità di ragni, appoggiati alle foglie delle palme, o peggio ancora, nel bel mezzo di ragnatele ai bordi dello stradino. È stato difficile per me fingere di rimanere impassibile alla paura. Avrei voluto scappare di corsa nel bungalow, se non fosse per un altro ragno visto proprio in bagno pochi minuti prima. E poi correre per magari incrociare una ragnatela nel bel mezzo della strada?! Brividi.
Vengo distratto solo dalle ragazze, che indicano due occhi più grandi che ci puntavano dal buio di due alberi poco più in là. Erano due ungulati, forse caprioli, forse cervi che ci tenevano d’occhio, probabilmente pronti a scappare se ci fossimo avvicinati troppo. Arriviamo un centinaio di metri più in alto, fino al promontorio che si affaccia sul mare e sulla spiaggia. Di tanto intanto dei fulmini minacciosi illuminano tutta la spiaggia, e lo spettacolo è suggestivo.
12 Ago – Cascata e Quepos
Il mattino facciamo una ricognizione in spiaggia, una lingua di sabbia lunga quattro o cinque chilometri. C’è bassa marea, e la sabbia si spinge fino a largo. Dietro di noi lo scenario che la notte precedente sembrava così cupo si trasforma in una fitta foresta di banani e palme. Ci sono anche parecchi cespugli e la vegetazione, a parte quei sentieri tracciati, resta impenetrabile. Di sicuro non ci metterei piede per non rischiare di incontrare qualche serpente.
Vediamo delle orme sulla sabbia, di un piccolo animale, di sicuro troppo difficili da decifrare. Incontriamo un animaletto simile ad un procione, intento a stanare i granchi dalla sabbia, scavando veloce, come un cane che ha appena scovato un tartufo. Simpaticissimo. Scuro, con il muso affilato. Ha una parte più bianca al centro della testa, il portamento di un mini orsacchiotto, la coda lunga e puntata verso l’alto. non sembra spaventato dalla nostra presenza, ma si guarda bene dal farsi avvicinare. Rimaniamo a distanza di poco più di un paio di metri, lasciandolo libero di cacciare in pace. Non si ferma un attimo, ed è attivissimo nel cacciare la sua colazione. Ci guarda nuovamente incerto, dà un’ultima occhiata alla spiaggia, poi con un paio di salti scappa nel bosco fitto.
Mattinata libera nel parco. Con Roberto incontriamo numerose iguane e dei caprioli, in uno scenario completamente stravolto rispetto alla precedente notte. Il sole dava un tono completamente diverso alla foresta, senza però mai mandar via quel senso di rispetto verso un posto che non conosci. D’altra parte qualche serpente velenoso può essere sempre lì, pronto a farsi calpestare per assaggiare poi la nostra caviglia.
Siamo nuovamente in bus, Alessandra fa l’appello per vedere se siamo ancora tutti o se qualcuno è scappato a nuoto. Oggi scendiamo verso sud-est, dritti a Quepos. Nel tragitto, dopo una veloce consultazione decidiamo di fermarci a Uvita. Siamo in anticipo sulla tabella di marcia e lì ci sono le cascate. Incoraggiato dal caldo e dagli altri che mi rassicurano sui tempi, non ci penso troppo.. Anche qui non ho il costume, ma “chissene”, quando mi ricapita?! In un attimo mi tuffo e sono di nuovo al fresco, in acqua. È un piccolo parco giochi. Ora salgo la scomodissima scaletta di ferro e raggiungo le cascate, lanciandomi giù per lo scivolo di roccia levigatissima dall’acqua.
Finca 6 è il nome di un sito archeologico che andremo a raggiungere nel pomeriggio. Siamo scesi ancora più a sud-est, fino a Sierpe. Siamo diretti al parco nazionale del Corcovado, che raggiungeremo stasera. Nel sito troviamo queste famose palle di pietra, grandi anche un metro, alla quale non trovo un utilizzo concreto. Pochi ritrovamenti di quell’epoca. Gli indigeni abitavano per lo più in capanne e grandi baracche di legno. L’epoca è il 1400, e incredibilmente la civiltà sembra essere un millennio addietro rispetto al vecchio continente. Probabilmente di lì a poco, dalla parte opposta della costa sarebbe arrivato Colombo a scoprire l’America.
Un’altra volta in bus, poi in barca, non ricordo più i tempi. Stiamo però arrivando a baia Drake, nel Parco Nazionale del Corcovado, dove troveremo Michael ad attenderci. Michael (dalle apparenze di un infiltrato russo) è un simpatico locale che sarà il nostro riferimento per un paio di giorni. La sua ironia e il suo humor somiglia un po’ a quella di Ciao, in una Notte da Leoni.
Lo sbarco è più simile ad un naufragio, e noi sembriamo degli scappati di casa. La barca rimane a pochi metri dalla riva per non incagliare il motore, e con buon dispiacere di Massimo siamo costretti a scendere dalla barca con tutti gli zaini, con l’acqua alle ginocchia.
Il posto è spartano, e anche la corrente va e viene. Ma la sistemazione però è davvero bella. Michael ci accompagna fino alla struttura, e prendiamo le camere al volo. giornata libera. Ne approfittiamo con Roberto e con Paola per una birretta rinfrescante. Arrivano i colibrì. Arrivano i pappagalli, arrivano quei pennuti neri, con il dorso rosso ed è uno spettacolo.
14 ago – trek al parco Nazionale del Corcovado
Il Costarica è senza dubbio il paese più pulito che abbia mai visitato. Non una cartaccia in strada, o nei boschi. Per arrivare al parco impieghiamo circa un’ora e qualcosa di barca. All’ingresso poi veniamo perquisiti. Controllano le nostre borse per bottiglie di plastica e qualsiasi cosa possa inquinare quel posto incontaminato. Nulla da dire, fanno bene. Nessuna nota stonata, niente plastica.
Siamo a caccia di tapiri e formichieri. Il sentiero parte dalla costa, e si addentra per un dedalo di sentieri, tutti poco distanti dalla spiaggia. Eppure il paesaggio cambia radicalmente. Nuovamente la foresta è densa, e in pochi passi, sentiamo soltanto il rumore del mare sulla spiaggia. Incrociamo dei tacchini, delle iguane, un bellissimo green caterpillar, ed infine dopo aver seguito le orme, avvistiamo il tanto desiderato tapiro, che sonnecchiava sotto dei cespugli. Ne approfittiamo per qualche foto. e per una sosta in un piccolo centro turistico in fondo ad una pista di atterraggio. Sarà stata usata in passato da qualche gruppo di narcotrafficanti. Niente formichieri alla fine, ma cosa volere di più? Siamo ancora in un viaggio incredibile.
Il rientro verso baia Drake è una comica. Il temporale è inevitabile, corre proprio in direzione della nostra barca. Il k-way è in borsa, ma a questo punto che senso ha?! Sono ancora in costume da bagno… Mi godo quindi la mia traversata con su gli occhiali da sole, per non farmi accecare dalla pioggia che batte forte. Acqua dall’alto, acqua dalla barca, schizzi dal mare… Arriverò alla terra ferma bagnato come poche volte in vita mia.
15 ago – Immersioni e snorkeling
Il mattino seguente ci dividiamo con il gruppo. Ma non prima di quel faticosissimo trekking verso la struttura ricettiva di Michael per far colazione. Il suo ristorante è a 1455 scalini su per la collina. Servirebbe una colazione per raggiungere la colazione, le uova e il succo d’ananas bastano appena a placare i morsi della fame dovuta a quella scarpinata.
Siamo tutti diretti verso l’isola del Caño, ma io e Silvia saliamo su una barca diversa per il diving, gli altri andranno a fare snorkeling in una zona poco distante. Grazie alla mia proverbiale memoria lascio a casa la custodia stagna della Insta360. Impossibile quindi usarla per le immersioni. Chiaramente la custodia l’avevo presa proprio per quello, ma vabbè, come si dice dalle mie parti “ciò ‘na testa che manco i billi la spizzicano”. Katia salva la situazione, e mi presta la sua action camera. Saranno due immersioni davvero belle, con un diving center assolutamente all’altezza. Rimaniamo intorno ai 15 metri di profondità. Il fondo è sabbioso, e siamo a poche decine di metri dalla costa. Scendiamo per la corda di prua. Sul fondale i blocchi di corallo saranno alti dai due ai tre metri. La temperatura supera sicuramente i trenta gradi, credo di non aver mai nuotato in acque così calde. Molti coralli sono già bianchi, e non resisteranno a lungo. In compenso le gorgonie erano rigogliose.
Subito quattro squaletti pinna nera, alcuni lunghi poco più di un metro, e forse soltanto uno che arrivava ai due metri. Esploravano il fondale, inizialmente non troppo curanti del nostro arrivo. Si sa, noi siamo curiosi, e ci avviciniamo a due o forse tre metri. Seppur svogliatamente qualcuno di loro, trova posto un po’ più in là, allontanandosi quel tanto che basta per tornare nella propria zona di comfort. Subito arrivano grossi banchi di pesci ad avvolgerci come una nuvola, forse degli Snapper. qualche pesce palla, e poco più in là quella che sembrava una bella cernia. Rimaniamo sul fondale più di 43 minuti, esplorando in tondo quel banco di rocce e coralli. Una grossa murena si affaccia minacciosa dalla roccia al passaggio del bastone della fotocamera. Le murene sono sempre arrabbiatissime. Si irritano sempre facilmente anche al solo passargli accanto.
Tra le due immersioni riusciamo anche a nuotare insieme ad una bellissima tartaruga marina. Era grande forse un metro, eppure così leggera in acqua. Anche se la visibilità non era delle migliori, rimarrà come una delle migliori uscite, forse quella con più specie marine viste. Non avevo mai avuto la fortuna di immergermi in profondità con gli squali (a parte la vacanza alle Maldive con gli squali grigi). La loro linea aerodinamica lascia a bocca aperta. La loro evoluzione nel corso del millenni lascia davvero stupiti.
Sfiniti, ma con un sorridente Walter sempre pronto ad accoglierci nel sul bus degli scolari, siamo finalmente diretti a Puerto Jimenes. Il viaggio è ormai verso la fine inesorabile, e tutti ce ne rendiamo conto. Rimangono pochi giorni a disposizione. Cominciamo a rallentare i ritmi finalmente, tutto a vantaggio di qualche racconto in più tra di noi, per conoscerci meglio. Alessandra è stanca, ma soddisfatta sul bus, quando con il suo immancabile briefing ci aggiorna sui prossimi passaggi del viaggio. Puerto Jimenez è un piccolo paesino all’interno della baia del Corcovado, siamo a sud nuovamente a pochi chilometri dal confine con Panama.
Il cielo è un po’ nuvoloso, ma per una volta siamo arrivati in un posto con il sole ancora sopra l’orizzonte. In realtà è quasi ora del tramonto, e proprio in questo momento il garrito dei pappagalli che si alzano in volo è assordante. Volano a migliaia, in coppia. Guardando in aria, i pali della luce fanno sembrare il cielo un’immensa scacchiera. Il cielo dal celeste si sta velocemente tingendo di un arancione pastello. La sfumatura che crea è davvero rilassante per gli occhi, spezzata soltanto dal contorno delle nuvole accese dal sole che le illumina da dietro l’orizzonte.
Di rientro dalla cena, con gli altri ragazzi ci fermiamo più a lungo per una passeggiata. E dopo aver fatto chiusura del locale (saranno state le 22:00?!) ce ne torniamo verso l’hotel. L’ultimo brindisi della serata è con Sara. Lo dedichiamo a questo intenso viaggio, e ad una lunga serie di viaggi in futuro. Passiamo la sera a ripercorrere tutto il viaggio, per fissarcelo bene in mente e non dimenticarlo più.
16 Ago – Punta Uvita
Siamo ancora in Costarica, piazzati nel bel mezzo del punto più stretto del centro America, a più di 9000km da casa e lo scenario è di quelli che non te lo dimentichi più. Arriviamo con la marea che saliva a Punta Uvita, dopo 150km di bus. La spiaggia in bassa marea si presenta con la forma di una coda di balena. Da entrambi i lati, le correnti convergono e spingono le onde verso il centro, creando dei contrasti a pelo dell’acqua incredibili. A oltre 150 metri dalla spiaggia, l’acqua arriva ancora alle ginocchia, e quando ti giri a guardare la costa, vedi una delle spiagge più belle di tutto il paese, con la chioma verde delle a dividere il cielo dalla terra, e una lingua di sabbia ad arginare l’oceano. Il frastuono della onde non è fastidioso, anzi, è parte integrante della bellezza di questo posto. Siamo tutti sparpagliati, qualcuno passeggia per la spiaggia, qualcuno prende il sole beatamente. Noi rimaniamo lì in mezzo alla coda di balena per un bel po’, scottati dal sole e sdraiati nella parte bassa dell’acqua, pienamente coscienti della fortuna che abbiamo ad essere lì, e che un viaggio così chissà quando ci ricapita.
Di lì a poco però rientriamo, la corrente si rinforza, e la marea si alza velocemente, mangiando gli ultimi metri della spiaggia. Facciamo appena in tempo a tornare alla base, che la marea aveva raggiunto tutti i nostri asciugamani stesi a terra. Dobbiamo per giunta sbrigarci ad attraversare il canale prima che l’acqua salga troppo e ce ne torniamo al bus.
17 Ago – Parco Manuel Antonio
Le giornate hanno ormai ritmi più “turistici”, e siamo all’ultimo parco naturale da visitare. La mattinata arriviamo di buon orario al Parco naturale di Manuel Antonio. non ricordo come si chiami la guida, ma ormai il copione è il medesimo, imparato in queste due settimane di trekking. Arriva in tenuta e cappellino da Indiana Jones, come tutti i suoi colleghi, anche lui con il suo prezioso strumento di lavoro: un bellissimo monocolo con lenti Svarovsky che piazza velocemente per farci osservare fin su ai rami alti delle piante.
Ormai abbiamo visto di tutto, e anche qui invece, ancora non finiamo di stupirci. di ritorno sul vialetto, ad un passo dalle caviglie incrociamo un Terciopelo (Bothrops asper) arrotolato su se stesso. Si, una bella specie di vipera, tra l’altro velenosissima, ben mimetizzata al lato della strada. Un animale molto comune in questo paese, che spesso causa più di qualche problema alla popolazione locale. Le scimmiette Mono cappuccino invece, si rivelano quasi simpatiche finché non rubano la maglia di Fabio dalla spiaggia. Approfittiamo anche oggi della bella giornata per un ultimo bagno, forse il più bollente di tutta la vacanza. L’acqua supera di gran lunga i 30 gradi. In tutto questo, camminando lungo il bordo del sentiero si si affaccia una bellissima Lora falsa (Leptophis Ahaetulla), un serpentello innocuo, ma di un bellissimo colore verde vibrante. Lungo sicuramente più di due metri, è lì a caccia vicino a noi e si muove velocemente, nascondendosi tra le piante ai bordi del sentiero e rispuntando fuori con la testa poco dopo, un po’ più in là. Una meraviglia di animale, Il colore è tra i più belli che abbia mai visto indossare ad un animale. Il suo verde è acceso e simile a quello del Basilisco che avevamo visto giusto pochi giorni prima lungo i numerosi fiumi visitati. Ho tutto il tempo di filmarlo, di fargli foto, prima che se ne vada per la sua strada.
Al rientro a Quepos, piove, ma non ce ne importa nulla, ci rilassiamo per l’ultima volta con un bagno in piscina prima di andarcene a dormire stanchissimi.
18 Ago – Quepos – San Josè
Stiamo rientrando. San Josè è la destinazione finale. Walter ci attende paziente sul bus, ormai rilassato per essersi è riavvicinato a casa sua, e felice che le due settimane siano filate lisce senza pericoli.
A parte il diving, per la prima volta il gruppo si divide. Gli altri andranno a vedere i coccodrilli mentre noi rimarremo a Jaco per un po’ di decompressione. Insieme ad Ale, Fabio, Giorgia, Roberto e Sara restiamo in città per un ultimo giro sulla spiaggia e per qualche ultimo acquisto. Ci scappa anche un ultimo bicchiere di hierba buena, il loro tipico succo alla menta e lime (un mojito analcolico più o meno). La spiaggia dà proprio l’idea di essere un’ottima meta per il surf in alta stagione.
Un paio di ore di relax sono sufficienti per girare i negozietti di Jaco. Infine siamo di nuovo con Walter, sul bus diretto a San Jose. Recuperiamo anche gli altri dal giro per coccodrilli. Spettacolo! Le foto che vediamo sono pazzesche. Non vediamo l’ora di vedere le foto di Paola, Con la sua macchina fotografica ha scattato foto davvero bellissime per tutto il viaggio! Ci vorrà un’altra oretta abbondante di strada per raggiungere finalmente la città.
Come ogni altro paese latino, San Josè è caotica. Nulla a che vedere con le altre città che si spengono alle 20:00 come le luci di un presepe. Qui la densità della popolazione è davvero alta e anche di sera si vive. Walter si raccomanda con noi, allarmato per la pericolosità della città. Eppure noi vediamo ragazzini, giovani e adulti schiamazzare tranquillamente per le strade, non curanti della nostra presenza. Molti turisti sono in giro come noi, e non percepisco pericolo alcuno. Sicuramente qui non è più pericoloso di altri posti che ho visitato in Italia e in giro per il mondo.
Siamo davanti al nostro residence. Da fuori non gli daresti 100 colones di fiducia, tanto da allarmare anche Walter, che ripetutamente ci chiama per sincerarsi che stessimo bene. Ma una volta dentro, scopriamo di avere vari mini appartamenti in stile post industriale, tutti bellissimi. Una specie di chiostro pieno di piante tropicali ci dà il benvenuto. Gli appartamenti sono tutt’intorno, alcuni con ampie vetrate che si affacciano sul cortile. Il nostro invece al piano di sopra, aveva un bellissimo soppalco per la zona notte, ed un grande letto comodo. Sarà come avere una casa vera per un giorno.
19 Ago – Gli sgoccioli di un bellissimo viaggio
Del Costarica rimane davvero poco da vedere, ma il museo dell’oro è una bella chicca finale tutta da ammirare. Il mercato dell’artigianato si rivela una malriuscita trappola turistica, dove la qualità dei manufatti è talmente bassa da scoraggiare anche me. In compenso il mercato locale – scoperto quasi per caso – è probabilmente il posto più caratteristico della città. Nel giro di qualche minuto ci siamo già persi in quel labirinto di vicoli stretti, tra le bancarelle piene di articoli ciondolanti. Spezie ovunque, fiori, banchi del pesce, della carne, farmacie improvvisate. Come in ogni bellissimo mercato che si rispetti, anche qui i vicoli sono davvero così stretti che a malapena due persone ci passano. E gli odori sono tantissimi, cambiano completamente ad ogni angolo. Molte bancarelle sembrano uguali, tanto da farci continuamente perdere l’orientamento e farci tornare al punto di partenza.
È il nostro ultimo giorno prima di dividerci e tornare ognuno alle nostre vite. Eppure non si torna mai come prima, e anche il Costarica le nostre vite le ha cambiate sicuramente. L’appuntamento che ci diamo è a breve, per salutarci nuovamente, e ridere finalmente delle disgrazie delle valigie. Vogliamo rivedere le esclamazioni di Massimo e i suoi brindisi di fine cena. Torneremo per ridere con Katia della sua disavventura alla spalla, e dell’alta marea che per poco ci investe Sandra. Torneremo per un altra partita ad UNO con Giorgia e Roberto, a farci un’altra birra con Paola e a rivivere le immersioni con Silvia. Torneremo a riassegnare la cassa a Pamela che poverina si è impazzita curando i conti per due intere settimane per tutti noi. Andremo a fare una bevuta con Fabio.
E ce ne andremo nuovamente a viaggiare con Sara, statene certi!
Torneremo tutti a vederci, per ringraziare Alessandra che è riuscita a costruire quello che è uno dei viaggi più belli di sempre.
Pura Vida Signore e Signori, Pura Vida!
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