Siamo rimasti a Phnom Pehn soltanto un paio di giorni; due giorni sufficienti a renderci pienamente conto della triste storia di quel paese, che fino ad allora avevamo soltanto letto su internet e su qualche notizia rubata qua e là in rete.
Ricordo benissimo il nostro stato d’animo, dopo aver visto i musei e aver approfondito la triste storia di quel paese.
Come molti occidentali ignari, conoscevamo soltanto approssimativamente la storia, e le atrocità compiute dal regime dei khmer rossi di pol pot.
I campi di sterminio di Choeung Ek, a pochi chilometri dal centro della città, sono qualcosa che ti sconvolge e intristisce. Sono una vergogna, forse da dimenticare, o forse da ricordare. Dirò soltanto che a distanza di 40 anni, ogni volta che piove, ancorano affiorano dal terreno pezzi di vestiti o resti di quei poveracci mandati al macello da un regime tanto insensato, quanto sanguinario. Un regime che mandava al macello i propri concittadini cambogiani, amici, parenti e conoscenti.
Chi ha più di 30 anni ed è sopravvissuto ha chiaramente vissuto il regime. Ed i sorrisi dei giovani, lì fuori non bastano a compensare la triste e recente storia.
Oggi Choeung Ek è diventato un bellissimo giardino, col suo placido fiume che lo costeggia, e dove tutto si muove lentamente nel brusio delle foglie.
Gli alberi restano, testimoni silenziosi di una triste storia, ancora troppo presente per essere dimenticata.
Il Toul sleng museum è un altro sito da vedere, una scuola che abbiamo visitato, ma che poi fu trasformata anch’essa in un campo di concentramento. Non voglio entrare nel dettaglio, ma dirò soltanto che quelle che una volta erano classi di bambini e studenti, furono trasformate in prigioni, le aule trasformate in minuscole celle divise da pareti improvvisate costruite con calce e mattoni. Filo spinato tutt’intorno. Rimangono a testimonianza, soltanto migliaia di foto in bianco e nero, di gente passata di lì.