Dagli appunti di viaggio – 12-14 agosto 2014
La situazione si fa più semplice del previsto.
Invece di affrontare un lunghissimo viaggio in bus, troviamo un miracoloso volo a 50€ che ci porterà direttamente a Siem Reap, in Cambogia. All’arrivo, in tarda serata, ci compriamo immediatamente una sim locale, che si rivelerà il miglior acquisto del viaggio. L’aeroporto di Siem Reap, è piccolo, ma dignitoso. Paghiamo per il visto e comiciamo ad uscire, visto che oltretutto siamo senza valigie.
Fuori c’è già una folla di tassisti che puntano ad agganciare i turisti sprovveduti. Stranamente non ci mettiamo a trattare con loro, ma facciamo direttamente il biglietto per il centro di Siem Reap al desk, e saltiamo sul taxi. È qui che conosciamo Sven6 (o 7?), il ragazzo che diventerà il nostro driver per i giorni seguenti. In realtà non si chiama Sven, ma i driver li chiamiamo tutti così; A nostra discolpa diciamo che hanno nomi impronunciabili!
Festeggiamo l’arrivo con una birra. Una birra locale, una Angkor! Scopriremo in seguito che praticamente tutti i cambogiani bevono la Angkor, una bionda leggera che sta bene con tutto, soprattutto con quel caldo insopportabile.
Le strade per arrivare al paese sono buie, pochi lampioni e poche macchine per strada, contornate soltanto da risaie e tratti di giungla. La strada da fare è poca, e in 10 minuti siamo già alle porte della città. Finalmente cominciamo a vedere i primi lampioni e le luci della città. Mi ricorda una piccola Las Vegas. Piena di luci, molto turistica, costruita nel mezzo di una giungla e full of shops che vendono di tutto. Notiamo subito che usano la doppia moneta. Il taglio minimo in dollari è “1 dollaro”, anche per comprare una bottiglietta d’acqua. Il loro denaro al cambio è bassissimo, e anche se probabilmente ci converrebbe cambiare dei soldi in Riel cambogiani, manteniamo i dollari americani per praticità, almeno per ora.
La sensazione a primo impatto è molto strana. Sembra un pianeta molto diverso da quello a cui siamo abituati a vedere. Le persone sono tutte sorridenti e molto cordiali, e a pelle, non ho avuto quella sensazione di sentirmi paragonato ad un sacco di soldi che cammina per la città, pronto per essere spolpato. Sicuramente lo sono, ma non lo fanno notare.
Hotel fighissimo, con la piscina al centro e molto simile ad un residence americano, palme tutt’intorno, a conferire un po’ di privacy tra i bungalow. Vicino alla porta della nostra camera ci attendeva un simpatico geko, che ogni tanto ci guardava, distratto ogni volta dal ronzio di una zanzara che gli passava vicino. Se ne stava vicino ad una lampadina, in attesa della sua cena. E così ad ogni bungalow, C’era un geko per ogni appartamento, ognuno piazzato vicino ad un punto luce, che aspettava qualche insetto passare. Per un momento me ne sono rimasto a guardare il cielo stellato, frastornato dal viaggio e dalla Angkor.
Non ricordo bene il seguito della serata, ma era già tardi, e dopo esserci accordati per il tour del giorno seguente con Sven, ci scoliamo un altro paio di birre e ce ne andiamo a letto. Distrutti. Spossati dal caldo. Soddisfatti. Carichi di adrenalina.
Pensavo continuamente alle rovine di Angkor Wat, e mi immaginavo come potesse essere un paradiso perduto e ritrovato nella giungla cambogiana. E al pensiero, mi rotolavo nel letto, discutendo a momenti con la zanzara di turno, ma carico di adrenalina. Soltanto pronunciare la parola Cambogia era una scarica di sensazioni miste tra soddisfazione e sogno.
Il mattino seguente era già stato etichettato come la giornata che da sola valeva il viaggio. Con la mente ancora persa tra le rovine Ayutthaja, avevamo paura ad alzare troppo le aspettative. Ayutthaja è stata una bomba, un’esperienza unica, piena di colori, caldo, odori, che lasciava gli occhi quasi allucinati. Non immaginavamo se Angkor Wat, con le sue rovine, immerse nella giungla valesse quelle stesse aspettative.
E invece eccola lì l’adrenalina, mi tremavano le mani per l’emozione soltanto a tenere in mano i biglietti per accedere alle rovine.
Ero lì, con la barba lunga e con l’abbigliamento tipico del turista fai da te, degno di miglior film fantozziano. Scarpette da trekking, pantaloncini corti e tasche ai lati, camicia leggerissima in cotone rosso, e busta della spesa della coop (visto che ero ancora senza bagaglio), così mi apprestavo ad entrare in quella serie di templi che si perdevano nel tempo.
L’impatto fortissimo, un senso di misticismo assoluto circondavano quelle rovine. Angkor Thom è un sito imperdibile, e il suo principale tempio, il Bayon è un tempio assurdo.
Le innumerevoli e caratteristiche torri con bassorilievi ai 4 lati che rappresentano dei volti, creano un silenzio quasi mistico, dovuto non solo al rispetto del luogo, quanto allo stupore e alla meraviglia causata da tale bellezza.
In breve tempo mi trovavo immerso ad immaginare le storie passate e le leggende che ancora aleggiano in quel posto.
Gli occhi pieni di immagini surreali, il fruscio degli alberi, i rumori degli uccelli e degli animali, il brusio della gente che circondava l’area, erano diventati segnali fortissimi, che entravano dritti nel cervello e mandavano in corto circuito ogni pensiero dalla meraviglia.
Non avrei mai immaginato di infilarmi dentro quelle rovine, ormai ricoperte di muschio e licheni verdi, che spuntavano in mezzo alla giungla, letteralmente mangiate e ormai incastonate negli alberi. Non potevo immaginare di trovarmi a fare l’altalena su una liana, in mezzo alle rovine del Tah Prohm con la mia fidata busta della spesa.
Ed anche se consapevole che quelle rovine da sole valgono un intero viaggio, ero ancora cosciente di essere ancora all’inizio della vacanza, e non facevo a meno di pensare a quali altre meraviglie avrei visto in quei 20 giorni.